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EBo
May 24, 2021
In Microscopia e Ottica
La creazione di una sorgente di luce che possa essere distribuita nella maniera la più omogenea possibile intorno al soggetto che vogliamo fotografare, è un passaggio obbligatorio e soggetto di ricerche e personalizzazioni le più estreme. Esiste praticamente un diffusore per ogni macro-fotografo 😊, con l’utilizzo, come si è già scritto in precedenza queste pagine, di innumerevoli stratagemmi e strumenti, che spaziano dal tovagliolo bianco, alla carta per stampante e disegno grafico, barattoli di yogurt, palline da ping-pong sezionate a metà, fogli di plastica semitrasparente… (li ho provati tutti). Lo scopo è di eliminare i riflessi non desiderati, ed ottenere una diffusione ottimale, non unidirezionale, senza ombre, e senza contrasti particolari. In questa corta pagina illustro semplicemente i risultati che si ottengono utilizzando come soggetto da fotografare dei cristalli di quarzo provenienti da una sabbia eocenica francese. Alcuni sono arrotondati dall’erosione meccanica avvenuta durante il lungo trasporto, altri presentano angoli ancora vivi e superfici piane, indice di una roccia madre prossima al luogo dove è avvenuta la sedimentazione. Lo scopo è di mettere in evidenza come l’utilizzo di differenti diffusori permetta di eliminare parzialmente, o completamente, la luce unidirezionale. Questo talvolta a scapito di un “appiattimento” dell’immagine stessa, ma è quello che in generale si cerca, nonostante che in particolari situazioni, l’accentuazione del rilievo (e quindi la presenza di luce incidente e unidirezionale) permetta di mettere in evidenza strutture particolari, specialmente se si fotografano microfossili o soggetti che possiedono una superficie particolare, con la presenza di nodi, pustole, canali, creste, rilievi… L’utilizzo di un diffusore implica una minore trasmissione di luce proveniente dalla sorgente, perdita che varia in funzione del media che si utilizza, lo spessore, la struttura interna del diffusore. Questo richiederà quindi tempi di acquisizione più lunghi e, di conseguenza, anche essere soggetti a micro-vibrazioni ambientali che potrebbero compromettere la qualità della foto. Le fotografie sono state acquisite con una camera SONY A7R II, mirrorless, con obiettivo Mitutoyo 2.5x (portato a 4.7x), salvate in formato .ARW 16bit. Solo un bilanciamento del contrasto è stato effettuato sulle immagini. La prima foto mostra il risultato dell’acquisizione dei grani di quarzo, senza l’utilizzo di alcun diffusore. Sono visibili i riflessi di luce sulla superficie dei singoli grani, provenienti dai due rispettivi pannelli; siamo in presenza di due evidenti sorgenti di luce che illuminano i soggetti con una netta direzione. La sorgente di luce è data da due pannelli LED da 20W. Il tempo di posa richiesto per acquisire il set di foto (stack di 180 immagini) ammonta a 1/60”. Impiegando un diffusore composto da un foglio di plastica trasparente (proveniente da una bottiglia di aranciata...) ed un foglio di carta da stampante bianco (90gr/m²), si può già osservare come il risultato sia più “morbido”, l’immagine più “arrotondata”, nonostante che alcune superfici, soprattutto quelle più piatte, siano ancora origine di punti luminosi e riflessi che saturano sul bianco. È ancora parzialmente percepibile la posizione delle due sorgenti luminose. La presenza di un ostacolo blocca una certa percentuale di luce, che richiede un tempo di posa più lungo, in questo caso si sale a 1/25” L’utilizzo di un doppio diffusore (avente sempre le stesse caratteristiche del precedente), in alcuni contesti permette di distribuire ancor meglio la luce, trasformando l’intercapedine interna alle due pareti, in una virtuale sorgente di luce stessa. In questo caso si distinguono poco le differenze tra l’immagine di seguito ottenuta e quelle precedente (lo spazio tra le due pareti dei diffusori è troppo grande). A parità di tempi di posa (sempre 1/25”), i cristalli riflettono meno la luce, anche se si riconosce sempre la posizione delle due sorgenti di luce. In questo test ho utilizzato un “mini-diffusore” stampato con stampante 3D, che possiede doppia parete interna, e che è stato creato per poter acquisire soggetti sub-millimetrici (foraminiferi, radiolari, microfossili in generale) senza occupare troppo spazio sul piano di lavoro. Il foro superiore è calibrato per poter accogliere differenti tipi di obiettivi. In virtu’ di quanto scritto precedentemente, la doppia parete si comporta da sorgente di luce, ed in questo caso effettivamente i soggetti risultano essere illuminati in maniera assai omogenea. A scapito di una buona distribuzione della luce intorno ai soggetti, si è in presenza, comunque, di una certa perdita di luce, richiedendo un tempo di posa di 1/40”. Questo tipo di diffusore ovviamente non trova applicazione in soggetti che eccedono i 5 millimetri di dimensione, e che sono inglobati in una matrice. Infine, si giunge alla “Ferrari” dei diffusori creato dalla OGGLAB ed in fase di test.. In questo caso, la sorgente di luce è posizionata sulle pareti interne di un cilindro e separate dal soggetto che si vuole fotografare da un diffusore in PETG, ne ho parlato in dettaglio qui: https://enrico-bonino.eu/cylindric-led-lighting-system/ La luce diffusa in quest’ultimo caso è ottimale, e non si osservano riflessi né da dove la luce prende origine (normale, essendo una sorgente posta a 360°). L’impiego di un “cappello” in plastica bianca opaca, che copre come un coperchio la fornace nucleare, permette diffondere la luce anche dall’alto e migliorarne le prestazioni. Last but not least, e non di secondaria importanza, è che il tempo di posa schizza a 1/250”, premettendo di elidere eventuali micro-vibrazioni presenti nella fase di scatto. Una versione aggiornata di questo sistema di acquisizione è tutt’ora in corso ed ulteriori test verranno presto pubblicati su queste pagine. Happy stacking! www.enrico-bonino.eu
Trattamento d'Immagine XXIII: Diffusori e risultati content media
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EBo
May 22, 2021
In Microscopia e Ottica
Quanto il trattamento di un'immagine può incidere sul risultato finale? Che cosa si riesce a mettere in evidenza "in più" rispetto al file di origine, cosi' come lo si ottiene dopo il processo di compilazione (stacking)? In questo breve post mostrero' il "prima e dopo", partendo da come si presenta il file in formato .DNG a 16bit, sino all'output finale in formato .PSD (Photoshop) e .PNG (per essere digerito dai vari social, Facebook, in primis), un poco come si mostrano i vari passaggi di preparazione di un trilobite, per liberarlo dalla sua matrice. Nell'esempio, propongo un coleottero Scirtidae, comunemente in inglese chiamato marsh beetle, poiché le larve sono associate ad ambienti in cui è presente acqua stagnante. L'esemplare proviene dalla cava di Yantarny, presso Kaliningrad in Russia, nota per aver dato alla luce numerose faune conservate preziosamente dentro l'ambra. Ambra del Baltico, datata al Priaboniano-Bartoniano (Eocene superiore). Il file è stato esportato da Helicon Focus dopo la compilazione di 178 fotogrammi in formato .ARW a 16bit, acquisiti a 1/250", con un obiettivo Mitutoyo 2.5x e sistema di illuminazione a LED circolare sviluppato dalla OGGLAB. L'ambra è immersa in glicerina per eliminare tutte le deformazioni che la superficie esterna possiede, cosi' come eventuali fratture e graffi superficiali. Il primo passo è la correzione dei colori, il bilanciamento dei colori chiari e scuri, rotazione dell'immagine (se necessario) e ritaglio (crop). Sotto l'immagine a sinistra come viene salvata dal software di compliazione, ed a destra dopo rotazione, e ritaglio. È importante che la composizione dell'immagine segua una certa "regola d'oro", che venga rispettato una sorta di bilanciamento, equilibrio, nel complesso che si vuole rappresentare. Linee di fuga, soggetti che occupano spazi simmetrici, chiazze di colore… il tutto deve fare parte di un insieme il più gradevole alla vista possibile; ovviamente questo non sempre è possibile, nonostante le ambre si prestino volentieri a questo “gioco”. In particolare, per i miei soggetti, non voglio solo illustrare un’immagine che possa risultare essere interessante da un punto di vista scientifico, ma deve anche attirare l’attenzione, ispirare, incuriosire, piacere [ci riesco? boh?] Dopo queste prime operazioni essenziali, segue l'eliminazione del rumore di fondo, del noise, che si osserva in particolare in corrispondenza di superfici omogenee. Il filtraggio lo si effettua con filtri creati appositamente per questo scopo (io utilizzo DeNoise della Topaz). Il noise è molto più marcato tantopiù si lavora con valori di ISO elevati, è consigliato quindi sempre fotografare con valori il più basso possibile (100 ISO sono lo standard). Nell’immagine seguente, a sinistra un settore dell’immagine in cui si può osservare la grana presente, mentre a destra la medesima immagine in cui il rumore è stato rimosso tramite filtraggio. Altra operazione è la rimozione di soggetti che possono distrarre, che “sporcano” l’immagine, come fratture interne, bolle, impurità, setole… è importante ovviamente non alterare nulla che faccia parte dell’insetto (o del soggetto) che si fotografa. Setole, zampe, occhi, l’insieme dell’organismo deve risultare inalterato e solo eventuali difetti (dovuti spesso in parte all’algoritmo di compilazione delle immagini) possono essere rimossi. Non ritorno sugli strumenti disponibili sui programmi di trattamento di immagine, illustrati in un mio post precedente (QUI). Infine, un filtro che permetta di aumentare la nitidezza dell’immagine (se necessario), viene applicato. Anche in questo caso utilizzo un software, SharpenAI della Topaz. A sinistra sempre l'immagine di origine, inalterata, ed a destra dopo la correzione dei colori, l'eliminazione del noise e l'applicazione del filtro di sharpening. Il risultato finale, dopo aver aggiunto la barra per la scala, la firma e la cornice “per fare bello” è visibile qui sotto. Happy stacking! www.enrico-bonino.eu

Trattamento d'Immagine XXII: Prima e Dopo content media
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EBo
May 20, 2021
In Microscopia e Ottica
È importante, ogniqualvolta si voglia pubblicare l’immagine di un soggetto, aggiungere un riferimento che ne indichi le dimensioni. Se per soggetti macroscopici, una moneta, un righello o un’apposita scala centimetrica sono sufficienti, per soggetti che possiedono dimensioni sub-millimetriche, l’operazione potrebbe apparire più complicata. Potrebbe, ma in realtà non lo è. Per aggiungere una barra di riferimento, occorre innanzitutto poter misurare il valore (in pixels) della lunghezza di un riferimento metrico presente all’interno del campo visivo dell’obiettivo. Questo si effettua acquisendo una foto di una scala millimetrica o micrometrica come, per esempio, quella visibile qui sotto. Vetrino con incise le scale micrometriche utilizzabili per calcolare l’ingrandimento e le dimensioni dei microfossili. In questo caso, si tratta di un semplice vetrino portaoggetti da microscopia, in cui sono incise differenti scale sub-millimetriche, che vanno dal decimo al centesimo di millimetro; per bassi ingrandimenti si possono utilizzare anche dei righelli. Si pone il vetrino di fronte all’obiettivo, si mette a fuoco e si fotografa cercando possibilmente di avere la scala micrometrica parallela alla base del fotogramma. L’immagine così acquisita si importa in un programma di grafica (nel mio caso utilizzo Adobe Photoshop). Si calcola il numero di pixels che sono inclusi all’interno di due (o più) tacche. Nell’esempio sottostante il numero di pixels inclusi tra le tacche di 1 e 2 (cioè 1 centimetro in questo caso) sono 4066. Quindi abbiamo 4066 pixels inclusi in uno spazio di 10mm, ogni pixel di conseguenza ha una dimensione di circa 0.0025mm (o 2.5µm). Noto il numero di elementi che caratterizzano il sensore della camera fotografica, sarà facile conoscere le dimensioni del campo coperto dal nostro obiettivo. Il modello di fotocamera SONY A7RII che utilizzo, possiede un sensore di 35.9x24mm, composto da 7952 x 5304 elementi; per altri modelli il valore lo si rinviene facilmente nel libretto delle istruzioni che accompagna la fotocamera, o effettuando una semplice ricerca sul web. Moltiplicando la dimensione in mm del singolo pixel per il numero di pixels presenti sul sensore, posso ottenere la dimensione del campo, cioè in questo caso 0.0025 mm x 7952 = 19.88mm cioè poco meno di 2 cm, come già si evince osservando l’immagine precedente. Ovviamente questo valore della dimensione del campo varia in funzione dell’obiettivo che si utilizza e della configurazione ottica utilizzata. Conoscendo a priori che set-up si utilizza, sapremo di conseguenza le dimensioni del campo coperto dal nostro obiettivo e potremo, per esempio, creare delle barre di scala “ad-hoc” che sarà possibile riutilizzare ogniqualvolta acquisiremo un soggetto con un predefinito set-up. In Adobe Photoshop è possibile creare una libreria che permette di essere facilmente utilizzata in funzione del sistema che abbiamo utilizzato: Una volta acquisito il soggetto, sarà solo sufficiente selezionare il setup e successivamente attivare il menu "Place Scale Marker..." per poter posizionare la barra della scala di riferimento nella immagine finale. Happy stacking! www.enrico-bonino.eu
Trattamento d'Immagine XXI: Inserimento di una scala di riferimento  content media
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EBo
May 15, 2021
In Microscopia e Ottica
Aggiornamento in data 05/07/2021 Descrizione del sistema di illuminazione a led cilindrico “D120EB Vertical Illuminator” Uno dei problemi principali da affrontare, e risolvere, per chi lavora con sistemi di macro-estrema, è quello di poter operare in un ambiente in cui si è in presenza di una diffusione della luce la più omogenea possibile. Il problema non sono solo le ombre che, in alcuni casi, possono essere desiderate, ma in particolare i riflessi che le superfici speculari creano: dal carapace metallico dei coleotteri, alle teche ialine dei radiolari e foraminiferi, alle lucide superfici dei minerali e delle ambre. Il risultato di una insufficiente diffusione della luce lo si osserva con maggior evidenza in fase di compilazione (stacking) delle immagini. Come visibile dell’immagine seguente, il risultato che si ottiene fotografando il medesimo soggetto senza diffusore (a sinistra) e con un diffusore cilindrico (a destra) è nettamente differente. In questo caso un normale barattolo di yogurt di plastica bianca opaca è stato utilizzato per diffondere in maniera omogenea la luce proveniente dalla sorgente luminosa. Oltre ad eliminare i riflessi presenti sulla superficie silicea del radiolare, i dettagli sono messi meglio in evidenza, permettendo una corretta analisi della morfologia dello scheletro ialino. L’utilizzo di diffusori caratterizzati da fogli di carta bianca, barattoli di yogurt, fogli di plastica opaca o semitrasparente, implica talvolta un’importante perdita di luce, con la conseguente necessità di utilizzare tempi di esposizione più lunghi, e di essere maggiormente soggetti a eventuali vibrazioni esterne che potrebbero rendere l’immagine sfuocata ed inutilizzabile. Grazie alla competenza e disponibilità del laboratorio OGGLAB (https://www.facebook.com/oggl.lab), ho la possibilità di poter testare un nuovo sistema di illuminazione verticale (modello D120EB Vertical Illuminator ) che utilizza una tecnologia a LED. Le stringhe di LED 2835 (da 4000-4500K) sono organizzate in sei anelli da 84 led ciascuno, pari a 504 led complessivi (e consumo di 25 watt), e 63 led localizzati sotto il coperchio, da 3 watt. Il grafico mette in evidenza i dati rilevati con un luxmetro a sonda (semi-sfera avente diametro di 60mm) posta alla base del cilindro; la linea blu indica i valori registrati senza l’interposizione del diffusore tra i LED ed il sensore, mentre per la linea rossa il diffusore è inserito. Per effettuare il test, i differenti livelli di LED ed il coperchio sono stati alimentati con la medesima tensione, con step tra una misura e la successiva di 0.5 Volt. Interessante notare che a partire da 11.5 Volt la curva si appiattisce, indice che si giunge ad un valore massimo di resa, e che a partire da 12V, il 1/2 Volt in più va quasi tutto ad aumentare la temperatura del sistema senza un guadagno netto in luminosità. Analizzando l’evoluzione della temperatura all’interno e all’esterno della friggitrice, durante un’acquisizione di 30 minuti e con voltaggio a 10 V, si osserva una curva che assume un andamento di tipo logaritmico. La temperatura interna risulta inferiore a quella del sarcofago esterno, grazie alla presenza dei fori basali e superiori che permettono una buona circolazione dell’aria, mantenendo la temperatura interna entro limiti accettabili. Analizzando l’evoluzione della temperatura in funzione del tempo e del voltaggio (con alimentazione continua di 15 minuti, e raffreddamento di 15 minuti), si ottengono le serie di curve visibili nel secondo grafico a destra. In funzione del numero di LUX desiderati (primo grafico), de del voltaggio utilizzato, sarà possibile conoscere con buona approssimazione il valore della temperatura interna al sistema durante la fase di acquisizione. Una soluzione che è in fase di progettazione consiste nell’alimentare i LED solo il tempo necessario allo scatto (come per un sistema che utilizza il flash), permettendo di mantenere la temperatura interna uguale a quella ambiente. Per effettuare le misure, la parte superiore è stata coperta con un disco in plastica bianco munito di foro centrale, ed il foro medesimo coperto con carta nera per simulare la presenza di un'ottica. Il diffusore interno (rimovibile) è composto in PETG, avente spessore di 0.6 mm, per garantire una sufficiente trasmissione della luce, e separa le stringhe di led dal soggetto da fotografare, permettendo una distribuzione ottimale della luce. Il diametro interno del cilindro è di 81mm, e con il coperchio inserito il foro centrale possiede un diametro utile di 69mm, sufficiente per poter accogliere l’obiettivo del microscopio ed i relativi anelli adattatori collegati al lens-tube, senza il pericolo di toccarne il bordo. Le dimensioni esterne sono di 170 x 124 mm. Con il coperchio l’altezza è di 100mm, mentre con coperchio rimosso, è di 85mm. Il peso complessivo del cilindro è di 570gr. L’illuminatore è concepito per poter acquisire immagini con sistema fotografico assemblato in verticale. Il diametro interno è sufficiente per poter accogliere la maggior parte di campioni collocati all’interno di un contenitore in vetro da laboratorio trasparente (becher o capsula di Petri), appoggiato al supporto (vedi più sotto), o comunque soggetti aventi dimensioni inferiori ai 70mm. L’immagine seguente riassume le dimensioni del sistema. Il cilindro essendo aperto all’estremità inferiore, permette di utilizzare differenti tipi di sfondo colorati, con lo scopo di aumentare la visibilità ed il contrasto del soggetto. Una funzione interessante implementata nel sistema di illuminazione è la possibilità di poter gestire via un alimentatore a tensione variabile (12 Volt e 3 Ampere) e regolatore step-down, l’intensità di luce, sia la possibilità di accendere/spegnere i diversi livelli dei led. Questo permette di gestire l’illuminazione sul soggetto in maniera estremamente flessibile. Il sistema può accogliere internamente una maschera semicilindrica nera opaca che ruota liberamente a 360°, permettendo di illuminare settori desiderati del soggetto, e permettere di ottenere un senso di “tridimensionalità” del rilievo (vedi la parte finale di questo testo). Questa è una funzione particolarmente interessante se si lavora con soggetti in cui si vuole mettere in evidenza la presenza di delicate strutture superficiali. Nell'immagine seguente è visualizzato il semicilindro opaco nero che, ruotando di 300° utilizzando un’apposita levetta, permette di orientare la sorgente luminosa nella direzione desiderata. Il coperchio essendo munito di una serie di LED, permette di avere un’illuminazione verticale, sistema molto utile per acquisizioni che richiedono la rimozione del rilievo e/o la tessitura eventualmente presente sulla superficie del soggetto da fotografare. Il coperchio è inoltre facilmente rimuovibile dal corpo dall’illuminatore, così come il diffusore, per poter effettuare acquisizioni particolari o utilizzare differenti tipologie di diffusori composti di altro materiale. Nella foto è visibile il coperchio parzialmente ruotato sul suo perno, con illuminazione spenta (sinistra) ed accesa (destra). Nell’immagine successiva sono visibili come alcuni microfossili (elementi di crinoidi del Carbonifero belga) restituiscano un’informazione differente a seconda della direzione di illuminazione. A sinistra è utilizzata solo l’illuminazione verticale, mentre a destra la medesima immagine è acquisita con l’utilizzo della maschera opaca ed illuminazione laterale. È evidente come i soggetti nell’immagine a sinistra, utilizzando una sorgente di luce verticale, risultino più “appiattiti”, mentre con luce laterale siano meglio evidenziate le forme ed i volumi. [È importante, per avere un senso di tridimensionalità corretto per l’occhio umano, di posizionare sempre la sorgente di luce in alto a sinistra. Altre posizioni possono indurre in errore, sino a dare l’impressione di rilievo invertito, soprattutto se si localizza la sorgente luminosa in basso a destra]. Il soggetto (od i soggetti) che si vuole fotografare trova collocazione su un disco di plexiglas trasparente, solidale con il sistema che permette la rotazione del supporto di 90°. La possibilità di ruotare il supporto che sostiene il soggetto si rivela estremamente utile per poter effettuare allineamenti all’interno del campo visivo del sensore della fotocamera. È inoltre possibile rimuovere il supporto trasparente e sostituirlo con un vetrino portaoggetti per microscopia di dimensioni standard. Questo trova spazio all’interno di adatte scanalature che ne permettono il bloccaggio, evitando che il vetrino si sposti quando si ruota la base per centrare/allineare il soggetto. Ovviamente occorre prestare attenzione a ben collocare il vetrino sull’apposito supporto. Nell’immagine che segue è visualizzato il supporto che permette la rotazione del porta oggetti; il cilindro in plastica può accogliere il vetrino portaoggetti (a sinistra) o il disco in plexiglas (a destra). Sono previsti una serie di vetri colorati in sostituzione della base trasparente, permettendo di ottenere differenti effetti di luce e contrasto, soprattutto su campioni trasparenti o semi-trasparenti (come le ambre). La rotazione si effettua agendo sulla levetta presente alla base dell’illuminatore come visibile nell’immagine successiva. Una pulsantiera a cinque interruttori gestisce l’accensione e lo spegnimento dei differenti livelli di led presenti all’interno del cilindro e del coperchio. Di conseguenza, in associazione con il modulatore, si può gestire la sorgente luminosa secondo differenti livelli, intensità, utilizzando una direzione particolare, e dall’alto verso il basso, permettendo una totale flessibilità dell’illuminazione del soggetto. Il regolatore di intensità, attualmente a due canali, è in corso di revisione e potrebbe (come forma, ma non come funzione) risultare leggermente differente da quello rappresentato nell’immagine a destra. Un test di laboratorio per valutare la distribuzione e la diffusione della luce all’interno del cilindro, è stato effettuato utilizzando delle sfere installate su colonnine in plastica; le immagini risultanti hanno fornito risultati estremamente incoraggianti. Una sfera opaca in plastica ed una in metallo riflettente sono state inserite all’interno del cilindro, completamente illuminato, ed una successione di fotogrammi sono stati acquisiti per visualizzare l’eventuale presenza di singoli punti luminosi, o mettere in evidenza la presenza di isolate strisce di led. Nel caso fossero visibili i led sulla superficie speculare della sfera metallica o una disomogenea illuminazione sulla sfera in plastica, significherebbe che la diffusione non è ottimale, e che potrebbe dare origine ad ombre e riflessi indesiderati. Il risultato è visibile nelle due immagini sottostanti. La sfera di plastica (a sinistra) risulta illuminata in maniera omogenea su tutta la superficie, ed il test utilizzando la sfera metallica (test che è tra i più’ “cattivi”, a destra) è estremamente positivo. Non si distinguono le strisce dei led, od i singoli elementi, mentre il cerchio nero corrisponde semplicemente alla lente dell’obiettivo riflessa sulla superficie della sfera. Le immagini sono state acquisite utilizzando un obiettivo Schneider-Componon 2.8/50mm, montato invertito su un tubo di prolunga. Per poter ottimizzare la diffusione dell’illuminazione verticale (nel caso ce ne fosse bisogno), in associazione con il coperchio munito di led, è possibile utilizzare un disco in plastica bianco, riflettente e forato al centro, che permette il solo passaggio dell’obiettivo. L’utilizzo di questo sistema di illuminazione riduce i tempi di acquisizione approssimativamente di un ordine di grandezza di 10 (e più); se in condizioni normali con un’illuminazione laterale e due pannelli a LED di 20W ciascuno, acquisisco immagini con tempi di esposizione compresi tra 1/20” ed 1” (a seconda dell’obiettivo utilizzato), questo sistema permette di lavorare con tempi di 1/125” – 1/250”, riducendo inoltre ulteriormente la presenza eventuale di micro-vibrazioni. Questi tempi ovviamente sono variabili, in funzione anche dei valori degli ISO utilizzati, e possono essere ancora ulteriormente ridotti aumentando la potenza di luce, ma a scapito di un riscaldamento eccessivo all’interno della fornace nucleare, con conseguente rischio di fusione del nocciolo (leggasi l’ambra) e devastanti conseguenze ambientali ed economiche. Come visto in precedenza, utilizzare voltaggi superiori a 10-11 Volt non permette di aumentare la luminosità del sistema, ma piuttosto di scaldare inutilmente l’interno del cilindro. La maggior parte dei componenti del sistema è stampato con tecnologia FDM (Fused Deposition Modeling), in materiale plastico ASA 275 (Acrylonitrile Styrene Acrylate) resistente a temperature sino a 85°C ed agli UV, e alimentato con alimentatore a 12V e 4°. Non risulta particolarmente ingombrante e si adatta perfettamente alle necessità di acquisizione di minuti soggetti, spaziando da fossili aventi dimensioni inferiori ai 2cm, sino a foraminiferi, ostracodi, radiolari e diatomee del diametro di poche decine di micron. Primi risultati Acquisizione su ambre: i primi risultati sono incoraggianti per la possibilità di poter gestire in maniera più libera la direzione della luce sul soggetto. Essendo lo scopo di poter ottenere una luce diffusa, certe acquisizioni risultano più complesse nel caso si volesse mettere in evidenza superfici che possiedono colori iridescenti e che richiedono la presenza di una luce più direzionale e/o orientata. Acquisizione di microfossili : I test compiuti su minuti soggetti come foraminiferi ed ostracodi hanno fornito risultati più che positivi, sia per la qualità dell’illuminazione, che per l’efficacità nella gestione della posizione della sorgente luminosa. Nelle immagini seguenti sono visualizzati due ostracodi acquisiti con l’ausilio della maschera semicircolare opaca per ottenere un’illuminazione orientata. Il primo esemplare a sinistra è opaco (scuro), mentre quello a destra possiede la teca ialina; in entrambi gli esemplari non si osservano riflessi indesiderati, e la luce risulta essere ben distribuita. I foraminiferi presentano talvolta strutture superficiali assai complesse, e l’importanza di orientare la sorgente luminosa è importante per mettere in evidenza peculiarità diagnostiche (o semplicemente per metterne in evidenza la loro bellezza). In queste due immagini, a sinistra è visibile un foraminifero acquisito con il diffusore senza maschera nera, mentre a destra il set di 4 individui è stato acquisito mascherando la luce proveniente da destra, mettendo in evidenza le forme sferiche e la tridimensionalità dell’insieme. Microfossili che appaiono ialini e semi-trasparenti possono spesso dare origine a riflessi e giochi di luce non desiderati, da cui l’importanza di poter regolare l’intensità della luce e la direzione della medesima. Nel caso delle spicole di spugna in particolare, è importante mantenere l’intensità luminosa non particolarmente elevata, così come la possibilità di poter posizionare la sorgente luminosa su differenti livelli rispetto al piano su cui appoggia il vetrino portaoggetti con i soggetti. Altri risultati saranno man-mano pubblicati su questo sito (www.enrico-bonino.eu ), sulla mia pagina Facebook (https://www.facebook.com/enrico.bonino/) ed Instagram (https://www.instagram.com/ebonino/ ). Happy stacking!
Trattamento d'Immagine XX: Illuminatore a LED cilindrico
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EBo
Apr 30, 2021
In Microscopia e Ottica
Post-processing Quanto incide l’elaborazione di un’immagine sulla sua qualità rispetto alla medesima che esce calda calda dal software di stacking utilizzato? Esistono tecniche standardizzate? Prima di entrare nel cuore del discorso, occorre fare una breve introduzione che riguarda i due programmi leader nel settore dell’image stacking: Helicon Focus e Zerene Stacker. [Premetto che non sono in possesso del software Zerene, quindi mi si perdonino eventuali svarioni che saro’ lesto nel correggere nel caso si rendesse necessario]. L'immagine seguente mostra le due piattaforme di lavoro dei programmi Helicon Focus e Zerene Stacker: Input: Helicon Focus è in grado di importare file in formato .JPG (8 bit), .TIF (8 bit o 16 bit), .DNG (Digital Negative, un formato sviluppato da Adobe, open) e molti formati RAW creati dalle varie case produttrici delle più diffuse fotocamere (.ARW per Sony, .NEF per Nikon, .CR3 per Canon…), mentre Zerene Stacker permette esclusivamente di importare i formati .JPG (8 bit), e .TIF (8 bit o 16 bit). Il problema del formato .TIF è che non tutte le fotocamere permettono di salvare le immagini direttamente in questo formato, quindi se si vuole mantenere intatta la codifica a 16 bit (e non utilizzare il formato .JPG), occorre convertire tutti i fotogrammi da RAW verso .TIF, prima di importare in Zerene Stacker la serie di immagini da compilare. Output: anche il formato di esportazione delle immagini compilate è leggermente differente nei due software, con Helicon Focus in grado di esportare files in formato .DNG (16 bit), .JPG (8 bit) e .TIFF (8 bit o 16 bit), mentre Zerene Stacker esclusivamente .JPG (8 bit) e .TIFF (8 bit o 16 bit). Da precisare che l’export in formato .DGN è possibile esclusivamente se in possesso della licenza Pro in Helicon Focus. Perché complicarsi la vita ad utilizzare un formato RAW e invece non lavorare con il più leggero e facile .JPG? Riassumo parzialmente quanto riportato su Wikipedia per quello che riguarda i benefici nell’utilizzare il formato RAW in fotografia. Utilizzare il formato JPG, significa che l’immagine che riceviamo ha già subito un processo (totale o parziale) di bilanciamento del colore, saturazione, contrasto e nitidezza. I parametri sono calcolati automaticamente o definiti dal fotografo PRIMA che l’immagine sia acquisita, quindi non è più possibile compiere profonde modifiche su questi valori. Esportare in formato RAW permette di accedere ugualmente ad immagini che sono già pre-elaborate dal software della fotocamera, ma queste impostazioni sono completamente gestibili, modificabili e migliorabili in fase di post-processing. Evidentemente questo richiede un passaggio ulteriore prima di importare il set di immagini all’interno del nostro software di stacking. Il formato RAW possiede notevoli vantaggi rispetto al formato JPG, come: - Presenta molte più sfumature di colori (da 4096 a 16384) rispetto alle 256 tonalità di un JPG a 8 bit compresso; - Siamo in presenza di una qualità dell'immagine maggiore. Poiché tutti i trattamenti dell’immagine (come ad esempio l'applicazione della correzione gamma, la demosaicizzazione, il bilanciamento del bianco, la luminosità, il contrasto…) utilizzati per generare valori di pixel vengono eseguiti in un unico passaggio sui dati di base, i valori dei pixel risultanti saranno più accurati e mostreranno meno il fenomeno della posterizzazione (definita come effetto applicato ad un'immagine per cui questa viene compressa, riducendo il numero di livelli di colore, aumentandone il contrasto, ma diminuendo le sfumature); - Si evitano i passaggi standardizzati effettuati dalla fotocamera, tra cui nitidezza e riduzione del rumore, per lasciare all’operatore la libertà di ottimizzare al meglio questi parametri; - Le immagini JPG vengono in genere salvate utilizzando un formato di compressione cui corrisponde una determinata perdita in qualità. I formati RAW in genere utilizzano una tecnologia di compressione che permette di non alterare il valore del pixel (loseless), senza perdita di dati e di qualità; - Esportare in formato .DNG o .TIF (a 16 bit) permette di avere un file in output con una dinamica molto più importante, e questo si rivela particolarmente interessante se si vogliono mettere in evidenza settori dell’immagine che possiedono zone scure o chiare. Inoltre, in fase di stampa professionale (poster di grandi dimensioni ed in CMYK), il formato JPG rischia di presentare in corrispondenza di zone ad elevato contrasto cromatico artefatti dovuti al processo di compressione; - Controllo più fine. Il software di conversione delle immagini RAW consente generalmente all’utente di modificare più parametri (come luminosità, bilanciamento del bianco, tonalità, saturazione, etc.) e gestirli con una maggiore libertà. Ad esempio, il punto bianco può essere impostato su qualsiasi valore, non solo su valori predefiniti discreti come "daylight" o "incandescent", ed in maniera analoga la calibrazione colorimetrica, particolarmente importante quando si vogliono preservare i colori reali del soggetto fotografato; - È possibile utilizzare diversi algoritmi di demosaicizzazione, operazione che permette di ricostruire la rappresentazione a colori di un'immagine partendo dai dati grezzi ottenuti dal sensore di una fotocamera digitale, e non solo quello codificato nella fotocamera stessa; - Il contenuto dei file non elaborati contiene più informazioni ed una qualità potenzialmente superiore rispetto ai risultati convertiti, in cui i parametri di rendering sono fissi, la gamma di colori viene ridotta e potrebbero esserci artefatti di quantizzazione (dovuti alla tecnica di compressione con perdita di informazione e colori); - Le trasformazioni dei valori della luminanza, ad esempio se si effettua un aumento dell'esposizione di una foto fortemente sottoesposta, risulta in un numero di artefatti visibili inferiore rispetto al risultato che si ottiene se lo stesso procedimento se compie su un’immagine già sottoposta a rendering; - Tutte le modifiche apportate su un file RAW non sono distruttive; cioè, solo i metadati che controllano il rendering vengono modificati per rendere invariate le diverse versioni di output, lasciando invariati i dati originali. Esistono ovviamente degli svantaggi nell’utilizzo del format RAW: - Le dimensioni dei file RAW sono in genere da due a sei volte superiori alle dimensioni del file JPG, funzione ovviamente del livello di compressione. Questo richiede l’utilizzo di schede di memoria SSD con un maggiore volume di stoccaggio e velocità di accesso, tenendo conto che una sessione di acquisizione di immagini in macro-estrema può anche comportare centinaia di immagini ed occupare facilmente una decina (o più) di Gb; - I differenti formati RAW non sempre sono compatibili con i software di elaborazione (che devono sempre subire aggiornamenti periodici), mentre il formato DNG, potenziale candidato per diventare un formato standard universale, non è stato ancora ufficialmente adottato da tutti i produttori di camere fotografiche. Questo ha portato alla creazione di numerosi formati RAW ed all’abbandono di altri, seguendo l’evoluzione della tecnologia di memorizzazione dei dati; - Il tempo necessario nell’applicare il consueto workflow nel trattamento delle immagini è un fattore importante quando si sceglie tra formati di immagine non elaborati e quelli pronti all'uso. Con i moderni software di stacking, il tempo necessario per elaborare le immagini non pre-elaborate si è notevolmente ridotto, richiedendo comunque passaggi supplementari nel workflow rispetto all'utilizzo di un semplice JPG. Lavorare con un file RAW (in Camera RAW): I file RAW sono generalmente facilmente importabili in seno ai prodotti Adobe e, nonostante possegga una versione relativamente vecchia di questo software, non ho mai avuto problemi di sorta a leggere e visualizzare i files in Camera RAW. Esistono comunque molteplici piattaforme open source o meno, che sono in grado di importare ed elaborare i formati RAW senza problema. Le operazioni effettuate, come correggere i valori dell’esposizione, la distribuzione dei colori, il contrasto, livelli dei chiari e scuri… vengono salvate automaticamente in un file in formato .XMP che accompagnerà ogni immagine RAW. Questo file contiene tutte le informazioni (i metadati) relative alle modifiche apportate alle immagini, modifiche che non si ripercuotono sull’immagine sorgente. Terminata questa operazione si possono importare i files in Helicon Focus e lanciare il processo di compilazione. Attenzione! Helicon Focus non riconosce il file .XMP in quanto tale, quindi quando si visualizza l’immagine in questo software, essa apparirà come se non fosse stata elaborata su Camera RAW. Concluso il processo di stacking, il risultato è esportato in formato .DNG e aperto nuovamente con Camera RAW. L’immagine viene visualizzata applicando i parametri definiti prima di importare i singoli files in Helicon. Operare con questa modalità permette di non dover convertire i file RAW in formato .TIF o .JPG una volta esportati dalla fotocamera, e di conseguenza di risparmiare tempo nel trattamento dei dati, nonostante che il processo di calcolo su Helicon Focus risulti comunque più lento se paragonato all’utilizzo di un formato JPG. Indipendentemente dal software che si utilizza, i trattamenti che si applicano sull’immagine finale, sono in principio assai standardizzati, funzione del soggetto fotografato e del livello di competenza acquisito da parte del fotografo. Di seguito illustrerò sommariamente i passaggi che eseguo per ottenere un’immagine decente. 1- Operazione di Preparazione: a. Corretto posizionamento della o delle sorgenti di luce. Questo merita un capitolo a parte che riprenderò su un’altra pagina; b. Calcolo del numero di passi necessario per coprire tutto il soggetto (operazione effettuata automaticamente dal computer collegato al binario ed alla fotocamera) e funzione della dimensione del singolo passo; c. Scelta dei tempi di scatto. Qui è importante che l’istogramma della luminanza sia il più possibile centrato, e la curva (tendenzialmente) una gaussiana. Questo istogramma è generalmente accessibile sullo schermo della fotocamera; 2- Funzione della dimensione del soggetto, delle ottiche utilizzate, del dettaglio che si vuole ottenere, i tempi necessari per finalizzare l’acquisizione possono variare da una decina di minuti a più di un’ora; 3- I files in formato RAW ottenuti durante la sessione di acquisizione sono importati in Camera RAW dove si inizia ad effettuare le modifiche da apportare all’immagine. 4- La correzione dell’esposizione per ottimizzare la curva della luminanza di ciascun canale è una delle prime operazioni. Questo permette di ottenere una dinamica su (quasi) tutta l’estensione dei valori dei pixels, dal nero (che si trova a sinistra dell’istogramma) al bianco (che si trova a destra dell’istogramma). Generalmente non tendo in questa fase di lavoro a spostare i valori estremi della curva in corrispondenza delle estremità (cioè a sotto-saturare o sovra-saturare se sono in presenza di uno sfondo nero o bianco), ma lascio un 5-10% di zona senza valori. I bilanciamenti vengono effettuati utilizzando i cursori che gestiscono i toni chiari, il bianco, i toni scuri ed il nero. Non vengono modificati i valori della Saturation, Vibrance, Texture, Clarity, Dehaze che saranno presi in considerazione dopo aver calcolato lo stack. In particolare, modificare questi valori rischia di aumentare la visibilità del rumore di fondo in ogni singolo fotogramma, incidendo sulla qualità finale dello stack. 5- Una volta terminato in settaggio dei parametri, le operazioni sopracitate sono salvate in un file di metadata in formato .XMP (utilizzando Camera RAW). 6- I files RAW vengono importati in Helicon Focus; come già indicato in precedenza, questo programma NON riconosce il file .XMP, quindi non saranno visualizzate su schermo le modifiche apportate in Camera RAW sulle immagini. Quando effettuo lo stacking utilizzo sia il Method B che il Method C (in Zerene Software il Method B corrisponde al DMap, ed il Method C al PMax). Questo mi permette di paragonare i risultati ottenuti con i due metodi, e passare al processo di ritocco, sostituendo le zone meglio calcolate con un metodo con quelle dell’altro. Generalmente uso il Method B (meno soggetto alla presenza di riflessi), cui aggiungo le parti che sono meglio rappresentate con il Method C (miglior resa in corrispondenza di strutture complesse sovrapposte). Lo strumento di fotoritocco su Helicon è assai semplice ed efficiente. Nell'immagine successiva ho evidenziato alcune differenze che si possono osservare utilizzando i due metodi B (a sinistra) e C (a destra). 7- Il file, una volta terminato il processo di correzione, è esportato in formato .DNG e importato nuovamente in Camera RAW. Il software riconosce la presenza dei metadata in formato .XMP, e visualizza il file con le correzioni apportate nella fase iniziale del trattamento. Se necessario ora si possono compiere operazioni di rotazione, ritaglio, aumento o diminuzione del contrasto e livelli di saturazione. Infine, passo su Adobe Photoshop (PS). 8- Generalmente la prima operazione che compio è la rimozione del rumore di fondo (noise), utilizzando il programma Topaz DeNoise (si può accedere al programma sia come filtro, a partire da PS, o come piattaforma indipendente). Questo software permette di eliminare il rumore di fondo effettuando anche un aumento del contrasto utilizzando algoritmi di intelligenza artificiale. Personalmente lo trovo molto valido. Il rumore di fondo generalmente non è particolarmente visibile, acquisendo immagini a 100 ISO, ma spesso la granulosità del cliché digitale emerge quando si lavora sui parametri come il contrasto e la tessitura. 9- Seconda operazione è la rimozione di eventuali tracce, macchie, polveri, graffiature o quant’altro che rendono l’immagine poco gradevole o “sporca”. PS permette di eliminare molte di queste imperfezioni senza grossi problemi e gli strumenti principalmente utilizzati sono lo Spot Healing Tool, il Clone Stamp Tool, il Brush (facendo attenzione a campionare correttamente il colore di sfondo e regolare correttamente i valori di Opacity e Flow del pennello), e per alcuni aloni che si possono presentare quando si hanno variazioni brusche di colore (come dal bianco di una conchiglia al nero dello sfondo) anche il Burn Tool. È chiaro che non bisogna andare di “mano pesante” anche perché le modifiche, se non si presta attenzione, saranno facilmente visibili una volta superata una certa “soglia” di correzione. Applicazione dello Spot Healing Tool: Applicazione del Clone Tool: Applicazione del Brush Tool: Applicazione del Burn Tool: 10- Il processo di fotoritocco prende fine con l’applicazione (se necessaria) del filtro Sharpen AI (sempre della Topaz). Anche in questo caso i risultati che questo software permette di ottenere sono assai impressionanti (click sulla foto per ingrandirla). 11- Infine, si procede al posizionamento della scala di riferimento (dovrebbe essere sempre obbligatoria). Il procedimento per calcolare la scala in funzione dell’ingrandimento utilizzato è assai semplice su PS, ma ritornerò sul soggetto in un post successivo. 12- Il file è salvato in formato .PNG e .PSD e archiviato per utilizzo futuro. Quanto descritto in queste pagine può variare a seconda del soggetto che si fotografa. Un foraminifero di 500µm di diametro richiederà un processo di acquisizione che sarà senza dubbio differente da quello necessario per fotografare un insetto di 5 cm di lunghezza e munito di antenne, spine e setole sul carapace. Immagine creata su Helicon Focus (a sinistra), e dopo elaborazione su Photoshop (a destra) Le tecniche ed i risultati si evolvono con il tempo e la competenza, che fatalmente si acquisisce provando e riprovando [è stato quindi inutile leggere queste pagine, per imparare bisogna “solo” fare]. L’importante è di non abbassare mai la guardia, e la pazienza premia. Felice stacking!
Trattamento d'Immagine XIX: Post-Processing content media
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EBo
Apr 25, 2021
In Microscopia e Ottica
In questa sezione introduco un soggetto scandaloso, che spesso rende le notti insonni e porta i tassi di adrenalina a valori prossimi al ricovero… cioè: quanti scatti deve effettuare la fotocamera per poter avere un soggetto completamente a fuoco quando utilizzo un obiettivo da microscopio? Decine? Centinaia? Quante? Argh! Non entro nel soggetto dell’ottica e della fisica della luce (anche perché non ne sono in grado), ma almeno un tema per capire come parametrare il nostro sistema lo si deve affrontare, cioè capire cosa significa il Depth of Field (DOF) o, tradotto in lingua madre la “Profondità di campo”. In parole povere, il DOF corrisponde alla distanza che si trova tra la parte più prossima e la parte più lontana dell’oggetto rispetto all’obiettivo, e che risulta a fuoco. Se ci si allontana oltre (o ci si avvicina all’obiettivo) l’immagine risulterà sfuocata, e sarà quindi necessario spostare l’obiettivo (o il soggetto) per poter visualizzarne altri settori. Il valore del DOF è funzione dell’apertura numerica dell’obiettivo (NA), dell’ingrandimento (M), del potere risolvente dell’occhio umano, della lunghezza d’onda utilizzata. Alcuni valori (come la lunghezza d’onda ed il potere risolvente) sono costanti, mentre NA ed M sono caratteristiche tecniche dell’obiettivo utilizzato e si trovano spesso indicate sul barilotto, o altrimenti presso il produttore. L’apertura numerica è il valore che maggiormente influisce sulla DOF, cui è inversamente proporzionale, di modo che ad un valore maggiore di apertura numerica corrisponde un valore inferiore di DOF, e viceversa. Descrizione generale di un obiettivo; in corsivo è riportata la nomenclatura in inglese. 1- Ghiera (mounting thread); 2- Tipo di correzione sull'aberrazione ottica (Optical Aberation Correction); 3- Ingrandimento (magnification); 4- Apertura numerica (numerical aperture); 5- Distanza (image distance); 6- Distanza di lavoro (working distance); 7- Spessore del vetrino copri oggetto (cover glass thickness); 8- Codice colore relativo al tipo di ingrandimento (magnification color code). Esiste una formula che generalmente viene utilizzata quando si impiegano obiettivi da microscopia e che è espressa come DOF = 0.00055/(NA*NA) (questa formula ed altre interessanti tabelle sono disponibili sul sito http://zerenesystems.com/cms/stacker/docs/tables/macromicrodof ) Sulla base del valore che si ottiene dalla formula sopracitata, potremo parametrare il movimento del motore e l’avanzamento del sistema di acquisizione. Sarà in funzione della dimensione dell’oggetto che si vuole acquisire che si avrà di un numero di passi maggiore o inferiore; un oggetto relativamente piatto richiederà ovviamente un numero di passi inferiore rispetto ad un soggetto sferico. Si possono considerare i singoli passi come delle lasagne che compongono una bella pasta al forno. Ogni singola fetta di lasagna è un passo, e l’insieme corrisponde a quello che avete nel piatto (mai abbastanza in verità…) Occorre tenere presente che, al fine di avere tutto il soggetto a fuoco, si deve considerare una sovrapposizione tra passi successivi di un valore variabile tra 20-30%. In questa maniera potremo assicurarci di ottenere un buon risultato finale, a scapito di qualche immagine supplementare (e che non fa mai male). Il processo di fusione dei fotogrammi è effettuato da software specializzati (Helicon Focus e Zerene Stacker sono i più utilizzati), e la parziale sovrapposizione tra immagini successive permette al programma di poter “cucire” le parti insieme dando origine ad un soggetto completo. Per fare un esempio, ho voluto acquisire un grano di pepe nero, che scorrazzava in dispensa, con tre obiettivi differenti, ma con un ingrandimento approssimativamente analogo, cioè un LOMO 3.7x, un PLAN 4x et un Mitutoyo 2.5x (portato a ~4.7x). Il risultato delle tre acquisizioni lo si può osservare nella foto seguente. Sebbene il risultato sia pressoché analogo se si confrontano le tre immagini riportate (non entro nel merito sulla qualità degli obiettivi, magari soggetto di discussione futura) è importante invece paragonare il numero di immagini che sono state necessarie per acquisire l’intera superficie del soggetto (è incluso nel totale un overlap tra passi successivi del 20%): Mitutoyo “4.7x” NA= 0.14 (DOF di 28µm) 287 immagini PLAN 4x NA= 0.1 (DOF di 55µm) 155 immagini LOMO 3.7x NA= 0.11 (DOF di 45.4µm) 158 immagini Questa differenza, che è anche notevole tra il Mitutoyo “4.7x” e gli altri due obiettivi, è giustificata dal fatto che l’apertura numerica NA del Mitutoyo è di 0.14, mentre il LOMO di 0.1 ed il PLAN 0.11, ed abbiamo visto che ad un valore maggiore di NA corrisponde un valore inferiore di DOF. Confrontando l’immagine di un fotogramma acquisito con il Mitutoyo (in basso a sinistra) e la medesima immagine acquisita con il LOMO (in basso a destra) si può constatare come il DOF è inferiore nell’obiettivo giapponese, richiedendo quindi un numero maggiore di passi - e di fotogrammi - per coprire l’intero soggetto, rispetto a quello russo. Quest’ultimo possiede un DOF maggiore e, di conseguenza, si ha un numero inferiore di immagini da acquisire. La banda bianca indica approssimativamente la zona in cui l’immagine è accettabilmente nitida. Concludendo, è importante, prima di lanciarsi in acquisizioni di un numero di fotogrammi scandalosamente elevato (con la conseguenza di occupare Gb di spazio sul vostro disco e tempi smodati di trattamento delle immagini), di conoscere questi semplici parametri. L’esperienza poi permetterà di affinare la tecnica e di ottimizzare i processi di acquisizione. Buone acquisizioni!
Trattamento d'Immagine XVIII: La Profondità di campo (questa sconosciuta)
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EBo
Apr 24, 2021
In Microscopia e Ottica
Mi è stato richiesto di mostrare il mio sistema di acquisizione, il "catafalco" che ho messo in piedi per poter acquisire le immagini delle minute creature che avete avuto modo di apprezzare (e di questo vi ringrazio infinitamente). Non esiste un modello standard ed ogni macrofotografo possiede il suo, personalizzato in funzione delle sue necessità, spazio, soggetti da acquisire. Soggetto a molteplici modifiche nel tempo, ritengo di essere giunto ad un punto finale in cui non è richiesta alcuna altra modifica del sistema. Eccolo qui, dunque, nella sua maiestatis: La struttura portante è composta da profilati estrusi in alluminio a sezione quadrata delle dimensioni di 30 x 30 mm, e differenziata in due blocchi separati: uno che sostiene il sistema di illuminazione ed il monitor esterno, ed uno che sostiene il binario motorizzato con la fotocamera ed il supporto ai campioni. La separazione in due blocchi è stata fatta per eliminare il più possibile le eventuali micro-vibrazioni create dai pannelli LED e bracci di sostegno. Ogni piede è munito di piedini in gomma antivibrazione (13) ed il sistema verticale è fissato ad una tavola di legno composito di 2cm di spessore. Il blocco contenente l’illuminazione si può rimuovere o spostare in funzione delle necessità di acquisizione. Essendo il sistema aperto, permette un relativo facile accesso a tutte le componenti; ho scelto di basarmi su un set-up verticale in quanto quest’ultimo permette di acquisire correttamente i soggetti che mi interessano, appoggiati su una superficie piana. Il sistema di acquisizione orizzontale è invece frequentemente utilizzato per chi fotografa soggetti come insetti, che nella maggior parte dei casi sono fissati su aghi entomologici, e quindi un sistema orizzontale è preferito. Il binario (8) che muove con passi micrometrici la camera fotografica ed il tubo porta-ottiche (5) è fissato saldamente su una piastra in alluminio con canali a V (aluminium V-slot board), permettendo di effettuare acquisizioni in posizione verticale. Un microcomputer con schermo a led (1), collegato ad esso ed alla camera fotografica via apposito cavetto (4), gestisce il movimento micrometrico ed il numero di passi (e quindi il numero di immagini da acquisire), il punto di inizio e di fine, la velocità di movimento, le pause tra un’acquisizione e la seguente, ed altri parametri. Il microcomputer è radiocomandato (11) via un sistema ad infrarossi, sistema che elimina eventuali vibrazioni che potrebbero invece essere presenti nel qual caso si utilizzasse un sistema via cavo usb. Il binario è gestito da un motore (3) a 400 step/giro, parte del sistema modello QOOL 250 della MJKZZ (www.mjkzz.de), sistema sufficientemente calibrato per poter acquisire immagini sino ad ingrandimenti di 50x (oltre non sono andato). La camera fotografica mirrorless della SONY (modello Alpha 7R II) è collegata (18) via la porta micro-HDMI ad uno schermo esterno (14) da 7 pollici LCD a risoluzione 1280 x 800 (modello Neewer F100). Questa periferica è particolarmente utile per poter visualizzare correttamente il punto di inizio ed il punto finale della serie di acquisizioni, così come per visualizzare correttamente il tempo di posa e l’istogramma della luminanza senza dover compiere dei particolari esercizi di yoga per visualizzare il tutto sul piccolo schermo posizionato sul retro della fotocamera. L’analisi della distribuzione della luminanza è essenziale per poter acquisire immagini con un corretto bilanciamento dei chiari e scuri, e non avere fotografie ne troppo sovraesposte ne sottoesposte. Il sistema di illuminazione è composto da due pannelli LED (9) a 20W (modello Dryden della Brilliant) e due lampade LED IKEA (modello Jansjö, purtroppo oramai fuori produzione) flessibili (10) munite di pinze e che si rivelano estremamente utili per illuminare i soggetti più minuti. Al fine di eliminare il più possibile riflessi di luce indesiderati, soprattutto quando si fotografano soggetti muniti di superfici riflettenti (come coleotteri, minerali, ambre, foraminiferi con teca ialina, radiolari… insomma tutti i soggetti) uno, od una serie, di diffusori aventi diametro variabile (8-14 cm) (12) sono installati intorno al soggetto. Il diffusore permette una distribuzione omogenea della luce, e ne esistono di differenti fattezze (soprattutto artigianali) e composizione; creati in funzione del tipo di soggetto che si vuole acquisire: personalmente ho utilizzato barattoli di yogurt, palline da ping-pong, bicchieri e cilindri di plastica avvolti da carta da disegno e/o semitrasparente di varie dimensioni. È importante che la carta sia bianca per non indurre variazioni cromatiche indesiderate, e non sia di grande spessore al fine di evitare di alterare i colori del soggetto e/o perdere troppa luce; la carta bianca utilizzata per fare le fotocopie o quella semitrasparente per calco vanno benissimo. Poggiante su un piano in vetro (15) munito di piedini in feltro, e ad un’altezza di circa 20cm dalla piattaforma di base è posto il porta oggetti che, nel caso illustrato, è caratterizzato da una capsula di Petri in vetro (16) in cui sono fissate con della plastilina le ambre immerse in glicerina. Alla base della piattaforma è posto un panno in velluto nero non riflettente; questo permette di avere uno sfondo scuro relativamente omogeneo. Nel caso di soggetti in cui si richiede l’utilizzo di uno sfondo bianco (o di un altro colore) è possibile inserire dei cartoncini fissati su pinze con braccio mobile (17), interposti tra la base ed il vetro. Queste braccia articolate munite di pinza terminale in metallo (modello della SmallRig) si rivelano estremamente utili per sostenere e fissare le periferiche alla struttura portante. Oltre allo schermo esterno che sostituisce egregiamente il piccolo schermo della fotocamera, altre due periferiche si rendono particolarmente utili: una è una alimentazione su settore (7) che sostituisce la batteria della fotocamera. Questo permette di poter avere sempre il sistema alimentato e di non dover estrarre e ricaricare le batterie della camera fotografica dopo 2-3 sessioni (sessioni che possono talvolta durare parecchio, ed avere la batteria scarica a metà strada è sempre cosa non piacevole). Un secondo strumento diabolico è una prolunga esterna allo slot che accoglie la carta SSD ed in cui sono registrate le fotografie (6). Non essendo possibile collegare direttamente la fotocamera con un laptop esterno (tutte le connessioni sono occupate) si rende necessario rimuovere la carta SSD per inserirla nel computer e scaricare le immagini da analizzare. Questa operazione effettuata ripetutamente potrebbe rischiare di danneggiare il sistema interno, e questo sarebbe causa di gran pianto e stridore di denti. Utilizzare invece questa prolunga, che facilita tra l’altro l’accesso allo slot, permette di salvaguardarne la meccanica. Soggetto comunque a continue modifiche, questo sistema è estremamente flessibile e permette di acquisire soggetti aventi dimensioni da centimetriche a sub millimetriche senza alcun problema.
Trattamento d'Immagine XVII: Il Sistema di acquisizione
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EBo
Apr 18, 2021
In Microscopia e Ottica
Molte persone hanno chiesto che tecnica utilizzo per acquisire gli insetti nelle ambre. L'idea mi è stata suggerita da Hellberg Jörgen, fotografo svedese che nel suo sito https://www.hellberg.photo/ descrive i differenti risultati che si ottengono fotografando un'ambra senza immersione ed immergendola in un liquido. Ed i risultati sono stupefacenti! La superficie di un'ambra raramente risulta perfettamente piana e parallela al soggetto che si vuole acquisire, essendo la medesima invece generalmente irregolare o curva e, peggio, accade che l'insetto si trova in prossimità del bordo laterale. Questo causa una serie importante di deformazioni ottiche quando si compila lo stack delle immagini; inoltre, i riflessi sulla superficie, la presenza di graffi, sfaldature e fratture incidono sulla qualità dell'immagine finale. Un metodo che permette di non intaccare minimamente il soggetto ed effettuare acquisizioni pressoché perfette è quello di posizionare l’ambra in un contenitore trasparente o semitrasparente per facilitare la diffusione della luce, ed immergerlo in un liquido che possiede pressappoco lo stesso indice di rifrazione dell'ambra. La soluzione migliore è utilizzare la glicerina. L'indice di rifrazione di questo liquido è di 1.472, mentre quello dell’ambra corrisponde a circa 1.54; i valori assai prossimi delle due sostanze permettono di eliminare fenomeni di diffrazione della luce, nascondere eventuali graffi e fratture, e di conseguenza creare le condizioni ottimali per ottenere immagini corrette. In assenza di glicerina si può utilizzare anche olio di semi di girasole, che possiede un indice di rifrazione compreso tra 1.472 e 1.476. È possibile utilizzare anche olio da immersione per microscopia (indice di rifrazione di 1.516, ancora più prossimo a quello dell'ambra), ma il prezzo di quest’ultimo e la necessità di utilizzarne una quantità relativamente importante (in funzione anche della dimensione dell’ambra), rende relativamente costosa questa tecnica. Infine, l'uso di un polarizzatore può aiutare ad eliminare eventuali riflessi presenti sulla superficie. Nelle due immagini che sono visibili di seguito, è visibile una foto di un soggetto che si trova in prossimità del bordo sterno dell'ambra, ed avente superficie semisferica. Ho utilizzato per entrambe le immagini le medesime condizioni di illuminazione e non è stata effettuata alcuna correzione per migliorare il contrasto ed i dettagli, eliminare il rumore di fondo, rimuovere eventuali difetti presenti. Soggetto senza immersione in glicerina: Oltre alla qualità dell'immagine decisamente scadente (A), è visibile la deformazione cui l'insetto è soggetto in prossimità del bordo esterno (B), una superficie più chiara riflette la luce del pannello a led nonostante sia presente un diffusore (C), ed alcuni graffi indicati con le frecce rosse sono percepibili sulla superficie (D). Infine, si perdono dettagli in prossimità del bordo esterno (E). Di seguito il soggetto immerso in glicerina: La differenza tra i due risultati risulta ancor più visibile ingrandendo sul capo, ed osservando i dettagli degli occhi compositi, come visibile nel riquadro. L'immagine finale dopo bilanciamento dei colori, filtraggio del rumore (noise) e contrasto.
Trattamento d'Immagine XVI: Fotografare le ambre content media
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EBo
Apr 16, 2021
In Microscopia e Ottica
Mi sembra ieri, eppure è già passato piu' di un anno da quando ho scritto l'ultimo post sul trattamento d'immagini nel settore della paleontologia. E tanta acqua è passata sotto i ponti. Per chi mi ha seguito sulla mia pagina Facebook, dal febbraio dell'anno scorso, mi sono lanciato nell'acquisizione di immagini di microfossili utilizzando tecniche di macrofotografia estrema, che consiste nell'utilizzare obbiettivi da microscopio collegati, via un tubo di lunghezza ben definita ad una camera fotografica. Semplice ? NO Molti, moltissimi fattori sono da prendere in considerazione, a partire dalle ottiche da microscopio utilizzate, l'illuminazione del soggetto, il tipo di camera fotografica, le vibrazioni indotte dal movimento della tendina che apre e chiude dinnanzi al sensore della fotocamera, dalle macchine, camion, Godzilla, che passano sotto casa e che fanno un pot-pourri dell'immagine (delle immagini) acquisite, dei riflessi interni al tubo che collega obiettivo e fotocamera. Se poi si utilizzano obiettivi "infiniti" è richiesta una lente intermediaria per dirigere correttamente il fascio luminoso, lente che può essere invertita per ottenere un'immagine piu' netta e tante altre cosine che rendono la vita più friccicosa. Pero' i risultati ci sono e, dopo un anno di avventure, test, modifiche al set up in tutti i sensi e modi posso dire che sono soddisfatto dei risultati. In realtà non è vero, ma lo scrivo per cercare di convincermi. Mento al punto tale, da aver scritto un articolo per una rivista americana (Fossil News) in cui racconto la mia esperienza e le tecniche di base per potersi lanciare in questa impresa. I folli hanno pure dedicato la copertina della rivista con una delle mie foto di insetti acquisiti in un'ambra Dominicana (presumibilmente piu' che di ambra si deve parlare di Copale): Comunque al fine di poter condividere il popo' di esperienza che ho maturato, condivido l'articolo in formato pdf di seguito e che potrete scaricare e condividere con fratelli, sorelle, nonne e zie. Il documento è in inglese, fatevene una ragione, ma vedro' di risvegliarmi e scrivere in questo forum i vari processi ed esperienze fatte (ed altrettante ne seguiranno). Ho iniziato, piuttosto diciamo che ho fatto un aggiornamento del mio sito web dormiente da anni, inserendo differenti sezioni presso cui potrete vedere alcune delle foto che è possibile ottenere con queste tecniche, liberi di esplorare e saranno più che benvenute critiche e suggerimenti per migliorare il tutto: A presto! E.
Trattamento d'Immagine XV: Fotografia macro estrema content media
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EBo
Jan 01, 2021
In Pubblicazioni e ricerche
Un libro sulle ambre di tutto il mondo, non un catalogo degli insetti che ivi sono conservati, ma una visione dei siti che ad oggi hanno dato alla luce le ambre più interessanti. Un bel libro edito da David Penney e stampato nel 2010 dall'inglese Siri Scientific Press. Le ricche tavole a colori, dove il giallo-aranciato delle varie ambre fanno da sfondo agli insetti in esse conservati, si alternano con una descrizione dettagliata della località da dove provengono, il contesto geologico, la raccolta delle ambre, il paleohabitat, la loro età, le proprietà, il tipo di inclusioni, una ricca bibliografia, e le famiglie di artropodi studiate. La parte introduttiva tratta di come riconoscerne la qualità (molte, moltissime sono le contraffazioni esistenti sul mercato), come prepararle e conservarle, come fotografarle (argomento a me assai caro) e le tecniche di indagine, che vanno dall'analisi allo stereoscopio, alle piu' avanzate metodologie di visualizzazione 3D con CT scan. I capitoli sulle ambre si possono riassumere nella seguente lista: Ambre Dominicane, Messicane, tedesche (Bitterfield), Australiane, Baltiche, Rovno, francesi (Oise, Charente), canadesi, del New Jersey, Burmesi, Spagnole, LIbanesi, e "sub-fossili" in copale, del Madagascar e Colombia. Insomma, se siete interessati a conoscere meglio le ambre e le loro caratteristiche, questo è il libro che fa per voi. ll libro (non propriamente economico) lo si puo' acquistare direttamente dall'editore Siri Press: https://siriscientificpress.co.uk/collections/palaeontology/products/biodiversity-of-fossils-in-amber-from-the-major-world-deposits tenendo conto dell'attuazione del Brexit, ora non so se ci saranno dazi supplementari sull'acquisto di prodotti legati all'editoria i UK. Su Amazon il prezzo è proibitivo, quindi evitate. Se disponibile una copia la si puo' acquistare anche dal sito https://www.trilobiti.com/product-page/biodiversity-of-fossils-in-amber-from-the-major-world-deposits Oltre al prezzo, una nota negativa che tengo a precisare è l'impaginazione; il testo è "appiccicato" al bordo esterno della pagina, e ugualmente nella parte interna. Risulta quindi necessario aprire e schiacciare le pagine per leggere correttamente il testo. L'editore avrà forse voluto risparmiare sul numero di pagine, ma l'effetto grafico non è dei più "felici". Manca anche un indice che possa essere utilizzato per rinviare alle varie specie di insetti descritte, cosa utile per poter effettuare anche una generale identificazione. Una previsualizzazione del volume è accessibile a partire da questo link: https://books.google.be/books?id=YIb0_tXhT_4C&pg=PA1&source=kp_read_button&redir_esc=y&hl=en#v=twopage&q&f=false ; ovviamente non tutte le pagine sono accessibili (non sia mai detto) ma potrete avere una correta overview del contenuto. Lingua: Inglese Hardcover (£85) Colori Pagine: 304 Anno di pubblicazione: 2010 ISBN: 9780955863646 Dimensioni: 240 x 165 mm From the back cover The beauty and mysteries of amber have fascinated humankind since its first discovery. Specimens with fossil inclusions inside were particularly revered and still are today, although for very different reasons. Fossils in amber represent a unique insight into subtropical and tropical forest ecosystems of the past. Today, such habitats contain a major proportion of the planet’s biodiversity, although they are disappearing at an alarmingly rapid rate, primarily as a result of human activities such as deforestation. The hot, humid environments of these habitats in conjunction with the vast armies of decomposers and other recyclers limit the potential for fossilization in the traditional sense. Hence, fossils in amber represent an invaluable palaeontological data resource for reconstructing tropical forest palaeoecosystems and also for predicting the consequences of our ongoing biotic crisis. They can also shed light on the broader, past distributions of organisms with restricted distributions today. In addition, because many of the earliest arthropod fossils from many extant (and extinct) families are preserved in amber, they provide important minimum dates for major radiation (and extinction) events, in addition to helping to resolve relationships amongst modern taxa. Fossiliferous resin (including copal) deposits with arthropod inclusions span from Recent times back to the Lowermost Cretaceous, providing a continuous record for the past 135 million years, with new deposits being discovered on a regular basis. Advances in the application of imaging technology, including both photomicroscopy and computed tomography are revolutionizing the way in which we can examine amber inclusions. In this multi-authored volume each chapter was written by leading world experts on the relevant deposit, following a semi-standardized format including an introduction, information on the geological setting, amber collection, palaeohabitat, the amber tree, age, physical and chemical properties, diversity of inclusions and finally a checklist of the fossils described. The deposits covered include Dominican, Mexican, Bitterfeld, Australian, Baltic, Ukranian, French (Tertiary and Cretaceous), Canadian, New Jersey, Burmese, Spanish and Lebanese ambers as well as a short note on the importance of inclusions in copal. There is also an extensive introductory chapter that covers tissue and DNA preservation, how to distinguish amber from copal and fakes, methods for preparation and study, including photomicroscopy and advanced imaging techniques, ending with a discussion on the conservation and curation of amber collections. The book is fully referenced and richly illustrated throughout in full colour. It is hoped that this book will appeal to a broad range of people including amber enthusiasts, palaeontologists, entomologists, researchers and students.
Biodiversity of fossils in AMBER from the major world deposits content media
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EBo
Jan 01, 2021
In Pubblicazioni e ricerche
Buongiorno e buon anno 2021 a tutti i membri di questo forum. Cerchiamo di riprendere i fili del discorso interrotti ormai da un po di tempo, non è mai troppo tardi! Comincio con la presentazione di un libro decisamente interessante, dal titolo: "Digital Photography for Science" Close-up photography, macrophotography and photomacrography. Il libro è stato scritto da Enrico Savazzi, persona a me sconosciuta sino ad ora (non me ne voglia) ma con una carriera universitaria non da poco, con alle spalle molte pubblicazioni a carattere scientifico nel settore delle tecniche fotografiche e divulgazione a carattere universitario. Il volume è decisamente "voluminoso" 704 pagine di testo, con immagini in bianco e nero ma estremamente interessante dal punto di vista tecnico, coprente settori di acquisizione e trattamento di immagine estremamente ampio e completo. Unico difetto è che possiede già 10 anni (pubblicato nel 2011), e la tecnica di acquisizione e processing ha fatto balzi in avanti assai incredibili. Nonostante questo l'autore copre praticamente tutti i campi di acquisizione fotografica, dal visible all'ultravioletto all'infra-rosso, le tecniche di acquisizione, gli obiettivi, le lenti, le camere (digitali e non), come utilizzare la diffusione della luce, l'esposizione, i filtri... dalla macrofotografia alla microscopia. Insomma un'opus dedicata a chi, avendo già qualche base di fotografia, si vuole lanciare, specializare, o approfondire tematiche legare all'acquisizione di immagini fotografiche a carattere scientifico. Savazzi ha lavorato anche nel settore paleontologico, e non sono pochi i riferimenti che utilizza per descrivere come migliorare le tecniche fotografiche per fotografare fossili, macro e micro che siano. Anche i vari software di edizione sono trattati (gli strumenti sono sempre quelli, quindi per questo è aggiornato 😀 ). La scelta di stampare un volume in bianco e nero e non a colori è stata una scelta editoriale, anche per permettere di poter offrire un libro che possa essere accessibile ad un prezzo decente, dato il numero di pagine presenti. Consiglio vivamente di riferirsi al sito LULU: https://www.lulu.com/search?adult_audience_rating=00&fReferrer=google&pGUID=14412874&page=1&pageSize=10&q=savazzi per poter acquisire la vostra copia. Altrove i prezzi sono incredibilmente inaccessibili. Al fine di poter accedere comunque ad un grande numero di immagini a colori, l'autore ha messo a disposizione dei file pdf che sono liberamente scaricabili e visualizzabili in "full resolution" per poter meglio comprendere ed interpretare i risultati dei trattamenti. Nella mia infinita magnanimità 😝 vi metto a disposizione il link presso cui voi potrete trovare i files da scaricare e visualizzare: http://www.savazzi.net/download/Savazzi_additional_materials_s.pdf Questo file ed altro materiale è accessibile a partire dal sito dell'autore: http://www.savazzi.net/dp.htm Ultima citazione degna di nota è la possibilità di scaricare dei file in formato Excel che permettono di effettuare calcoli sulla profondità di campo da utilizzare in funzione delle ottiche e del sistema di acquisizione utilizzato. Questi files sono disponibili in forndo alla pagina, seguendo illink che ho messo sopra. Per i più pigri, e se volete avere la possibilità di sfogliare il libro nella quasi sua totalità, presso il sito: https://books.google.be/books/about/Digital_Photography_for_Science_Hardcove.html?id=YabFAQAAQBAJ&printsec=frontcover&source=kp_read_button&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false è disponibile la versione liberamente accessibile (ovviamente avere il privilegio di sfogliare delle pagine cartacee non ha prezzo). Buona lettura. Lingua: Inglese Hardcover (56,16$) e Softcover (37.16$) Bianco e nero Pagine: 704 Anno di pubblicazione: 2011 ISBN: 9780557925377 Dimensioni: 6 x 9 in / 152 x 229 mm Abstract: Photography is the primary tool for visually documenting specimens, experimental findings and laboratory setups in many scientific fields. Photographic illustrations in these fields must satisfy criteria of clarity, objectivity and adherence to accepted standards, in addition to a pleasant but not distracting composition and illumination. This book concentrates on the choice and practical use of digital cameras, lenses and related equipment of types commonly available at research institutions and museums. The described techniques are suitable for subject sizes between approximately half a millimeter and half a meter, and differ from those used in general photography and microscopy. The intended audience of this book includes professional scientific photographers, scientists and students who need to carry out photography in support of their own research or as part-time scientific photographers at a research institution, and advanced amateur photographers who wish to master these techniques.
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EBo
Feb 16, 2020
In Microscopia e Ottica
Nel capitolo precedente, dove si è parlato di Trattamento d'Immagine XIII: Focus stacking e macro ho introdotto l'acquisizione di immagini utilizzando tecniche di foto stacking e l'utilizzo di macro. Premetto che sono assolutamente alle prime armi e quindi ho molto, moltissimo da imparare, chiedo venia quindi se utilizzerò' termini inappropriati o tecniche da far cadere i capelli. Ma dato che chi non risica non rosica, bisogna ben pure partire da qualche parte... Il sistema di acquisizione delle immagini si è basato sull'impiego di uno zoom 70-300mm montato su una reflex Nikon D3300, e l'utilizzo di un obiettivo da microscopio 4X che sullo zoom a 300m mi da un ingrandimento di circa = 6.7x. L'obiettivo si avvita su un anello adattatore a passo RMS (Royal Microscopy Society) e davanti all'obiettivo della macchina fotografica. Questo obiettivo (di buona qualità per chi inizia) è piu' che sufficiente per cominciare ad acquisire dettagli interessanti di micro fossili o di piccoli organismi quali, in questo preciso caso, di foraminiferi. In casa ho la fortuna di avere un sacchettino contenente della marna pliocenica che, una volta disciolta in acqua, passata nell'acqua ossigenata e filtrata, ha fornito un'associazione di clasti, teche di foraminiferi, ostracodi, radioli di echinidi, gasteropodi, lamellibranchi e cosi' via. Un ago ed uno stuzzicadenti umido mi hanno permesso di poter esplorare e selezionare dal residuo, tramite l'ausilio delle stereomicroscopio, i piccoli organismi e porli sopra un portaoggetti in plexiglas. Le foto per ora sono quello che sono e mi trovo di fronte a qualche problema tecnico, legato principalmente al movimento impercettibile della finestra della reflex che quando si apre e si chiude dà origine ad un micro-mosso che non permette di ottenere delle immagini completamente nitide quando osservate a 100%. Ridurre i tempi di posa aumentando la luce disponibile è già una probabile soluzione, questo verrà risolto prossimamente, forse, con l'acquisizione di una lampada led composita (81 led) ed estremamente luminosa (1000 lumen). Al momento utilizzo delle lampade led Ikea che fanno il loro mestiere (220 lumen). Le foto sono il risultato della fusione di circa 100 immagini, acquisite con scarti dell'ordine di 10-20µm, compilate su Helicon Focus e rifinite su Photoshop. Di seguito una carrellata di foto, senza identificazione, che mettono in evidenza i risultati che si possono ottenere con questo tipo di attrezzature. Come detto in precedenza, nonostante risultino "belle" come foto, sono decisamente migliorabili, soprattutto nel dettaglio. Qui credo che il buon @guido.gherlenda avrà da insegnarmi parecchio... :-) L'unità rappresentata nelle foto corrisponde ad un centesimo di millimetro, quindi la lunghezza totale della scala è uguale ad 1 mm.
	
Trattamento d'Immagine XIV: Fotografare foraminiferi (Macro spinta)  content media
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EBo
Feb 11, 2020
In Microscopia e Ottica
Purtroppo un membro del nostro forum ci ha lasciati. Persona disponibile e ricca di suggerimenti nel settore della microscopia, è stato un eccellente personaggio a livello nazionale per competenza e conoscenza.
Ciao Andrea... :-( content media
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EBo
Feb 10, 2020
In Preparazioni paleo
Cari "followers", mi ritrovo con alcune ambre che con il passare del tempo si sono screpolate sulla superficie e presentano un orribile pattern che impedisce la visualizzazione del contenuto (vedi sotto). Avete suggerimenti di come risolvere questo problema, e che materiale/prodotti utilizzare? Grazie! Dear "followers", I've in my collection some ambers that have cracked on the surface over time and present a horrible pattern that prevents the display of the content (see below). Do you have suggestions on how to solve this problem, and what material/products to use? Thank you!
Ambra screpolata content media
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EBo
Feb 04, 2020
In Microscopia e Ottica
Di questo argomento ne abbiamo già parlato in un post precedente (https://www.trilobiti.com/forum/microscopia-e-ottica/trattamento-dimmagine-iv-stacking-e-fusione), ma il sistema che in origine si basava su una camera fotografica ed un treppiede è "evoluta". Ho acquisito un sistema per poter effettuare fotografie/macrofotografie ad alti ingrandimenti che si basano sul "focus stacking", cioè la fusione di decine, vedi centinaia, di immagini acquisite con scarti di decimi di millimetro (o addirittura si parla di micron) per poter ottenere un'immagine finale ad altissima risoluzione ed estremamente dettagliata. Il sistema in questione si basa su un "binario" (rail) che si muove spinto da un motore ed una vite senza fine, con scarti estremamente bassi. Nel mio caso, si tratta di un sistema QOOL RAIL 250 prodotto dalla https://www.mjkzz.de Ad esso, fissato in verticale su un Copy Stand della Falcon Eyes, è agganciata una camera fotografica reflex (una banale Nikon D3300) ed un obbiettivo macro per poter effettuare le acquisizioni fotografiche. La camera é collegata ad uno schermo di computer via cavo HDMI (questo permette di avere una migliore visione della messa a fuoco rispetto al minuscolo schermetto della fotocamera). Il computer associato al binario, permette di settare il numero di scatti (funzione dello scarto definito), i tempi di acquisizione, la velocità, la gestione del flash esterno e molto altro. Nella foto successiva il sistema al momento come si presenta: Uno dei primi test effettuati con il sistema (quasi) definitivo è stato fatto su un trilobite, Eldredgeops rana, che presenta delle peculiari chiazze circolari, traccia di probabili zone a-pigmentate che erano utilizzate per mimetismo. L'acquisizione è stata effettuata con un passo di 0.4mm ed un totale di 105 immagini. Una volta settato l'inizio dell'acquisizione, la fine della stessa ed il numero di immagini (o micron, il passo, che il motore compie tra una foto e la successiva) si lancia l'acquisizione. Il computer comanda motore e camera fotografica, quindi si va a prendere una birra, gazzosa o caffé e si lascia il tutto operare... Alla fine nella carta della camera fotografica si ha una serie di foto che si passano direttamente nel software di trattamento per compiere il focus stacking (fusione di immagini) ed ottenere un'immagine a fuoco completa (vedi il capitolo in cui si parla di questo argomento). Sotto un'immagine "raw" non trattata e parte dell'insieme di fotogrammi acquisiti (dimensioni 6000x4000 pixel); si osservi come la parte a fuoco sia presente nella parte "distale" (più lontana all'obiettivo) mentre la parte piu' prossima sia sfuocata. Questa è una delle ultime foto acquisite, e prima di questa ne sono state scattate 104 in direzione dell'occhio situato in primo piano (sfuocato nell'immagine)... Il software in particolare che presento di è Helicon Focus (https://www.heliconsoft.com/) leader nel settore del focus stacking, utilizzato sia nella fotografia classica, che nella macro, microscopia e dove si rende necessario creare immagini a fuoco e di qualità. La cosa che mi ha assolutamente stupito è la velocità con cui questo programma analizza, allinea, fonde e rende le immagini. Non è possibile paragonare con Adobe Photoshop, che sebbene faccia il suo "mestiere" è incomparabilmente MOLTO, MOLTISSIMO piu' lento di Helicon Focus. Non ho comparato i due, ma se per 105 immagini Helicon avrà impiegato poco piu' di 3 minuti (neanche) che PS minimo sarebbe occorsa una ventina di minuti... ! Inoltre le funzionalità del programma permettono differenti settaggi che non sono disponibili su PS. Sotto il risultato finale: Questa immagine è il rendering al 33%, mentre sotto è un settore visualizzato al 100%: Di seguito i tre rendering ottenuti utilizzando i tre metodi (A-B-C) disponibili sul software (click per ingrandire l'immagine): Il livello di dettaglio raggiunto è già estremamente interessante, e futuri test saranno compiuti utilizzando sabbie plioceniche con foraminiferi. Helicon Focus permette di effettuare rendering di modelli 3D soltanto sulla base delle immagini acquisite. Certo, è piu' una funzione "fun" che di una reale utilità (almeno in questo caso), ma il risultato permette di avere una resa tridimensionale interessante: Cliccate nel link sottostante per scaricare e visualizzare il video:
Trattamento d'Immagine XIII: Focus stacking e macro estrema content media
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EBo
Nov 17, 2019
In Fiere, Musei Mostre etc.
Come ogni anno si tiene la fiera internazionale sui minerali e fossili, un florilegio di espositori di ogni orizzonte. Purtroppo si distingue la solita ed incalzante presenza di rivenditori di pietre preziose, ninnolame, Buddha scolpiti in onice, agata o crani aztechi di dubbio gusto. Nonostante questo la fiera è sempre molto affollata, da gente di tutte estrazioni sociali ed i collezionisti (noti) sono sempre presenti. Gradevole incontrare vecchie conoscenze con cui fare quattro chiacchiere sorseggiando una delle tante birre locali. Tra chi espone sempre e comunque si trova Patrick Catto, Didier Walhain e Roland Juvins. Con fossili provenienti da vari siti e che ne definiscono un poco la loro peculiarità di rivenditori. Patrick è una vecchia leva che ha il suo campo di attività prevalentemente in Marocco, conosce e gira i vari siti e propone sempre materiale estremamente interessante e ben lavorato. Ha collaborato con Geyer, Van Roy, Pillola, Lefebvre ed è un punto di riferimento per i trilobiti ed i nuovi siti che vengono scoperti e studiati nel nord Africa. Un pontifex tra i collezionisti ed i professionisti del settore. La preparazione delle bestiole esposte è generalmente effettuata da Hammi e Ali Ouakki, con qualità che sono praticamente perfette. Oltre al sempre presente Devoniano, quest'anno molti pezzi del Cambriano inferiore hanno fatto la loro apparizione, un bel Fallostapis (incompleto, vedi foto piu' in basso) in positivo e negativo era assai appetitoso, ma è stato venduto prima che lo potessi ritrovare oggi... Il problema di alcuni di questi nuovo fossili è la preparazione che alcuni marocchini propongono, rovinando inesorabilmente il pezzo, con l'intento (erratissimo a mio parere) di voler creare esemplari volanti (pessima moda) anche quando la matrice e la fossilizzazione non lo permette. Cosi' la morfologia delle pleure ed il contorno dell'innocente artropode diventa una pura espressione michelangiolesca del preparatore che, non essendo appunto il grande scultore rinascimentale, è causa di pianti e stridore di denti a chi con occhio attento guarda a queste creature. Di quest'ultima foto, il pygidium a "dente di sega" di questo Apatokephalus mi lascia molto a desiderare, ma l'associazione con gli altri trilobiti la trovo carina. Eccolo il Fallotaspis plana. Davvero non male. Una coppia di Daguinaspis ambroggi (purtroppo 'volanti') facevano la loro bella impressione. Didier, insieme al suo inseparabile collega Tony, possiede sempre la sua esilarante façon di esprimersi che è un piacere, simpatico e carismatico, presenta un pot-pourri di trilobiti, denti di dino, ammoniti, foglie e quant'altro attiri un poco l'attenzione. Un passaggio obbligatorio per cercare nei suoi pezzi qualcosina che si trova sempre. Ha avuto anche la gentilezza di accogliere in un angolino i miei due libri sui Trilobiti e meduse, vendendone, con mio grande stupore, ben tre copie! Ok, va bene, nessuno è perfetto... Infine Roland. Un punto di riferimento per chi cerca del Bundenbach, ed i crinoidi ed asteroidi che vende sono decisamente sempre attraenti. Quest'anno una bella piastra con un Mimetaster hexagonalis faceva la sua bella figura, ed in uno scatolotto, tra le altre cose, (meraviglia!) una Naraoia di Burgess (che li per li ho scambiato per una bella Tariccoia sarda). Date le ristrettezze economiche che mi sono auto-imposto dopo la pubblicazione dei libro sui trilobiti, ho gaudito alla vista ma non ho acquistato. Magari più in là... Le foto sono pessime, la luce non era delle migliori per fotografare le nere lastre. Tra le novità c'era uno stand che proponeva delle copie di crani di ominidi assai interessante, oltre che due grandi crani di Ceratosauro, T-rex (ovviamente) ed altri rettili (tra cui sinapsidi). Qualitativamente ho avuto l'impressione di "bof-bof", ma non sono un buon osservatore per queste riproduzioni, che risultano comunque inusuali. Nella zona di scambio dei fossili Jean-Jacques e Sébastien proponevano parte della loro collezione e grandi (e belli) echinodermi del Mesozoico del Bacino della Mosa facevano capolino dalle loro scatole. Sicuramente per gli amanti di questi echinodermi ci sarebbe stato materiale di scambio e acquisto. Seguono foto fatte in giro tra i vari banchi, in ordine sparso... Si trovano ancora dei 'ribelli' che spacciano queste strutture come stromatoliti... Patrick Catto e una delle Furca presenti nel suo stand. Di questa era disponibile il positivo ed il negativo. Si chiude la giornata con un cielo rosso fuoco (la foto non rende quanto era bello) che ha inondato la skyline della "città ardente". Al prossimo anno Intermineral n°51!
50ème InterMinéral esposizione a Liegi 16-17 Novembre 2019
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EBo
Nov 04, 2019
In Fiere, Musei Mostre etc.
Il 10 Novembre si terrà in Belgio (presso la città di Herselt) la più grande borsa di scambio/vendita di fossili Paleotime. SOLO ed ESCLUSIVAMENTE fossili, niente paccottiglia e/o bigiotteria di sorta, niente minerali, o conchiglie e SOPRATUTTO niente FALSI. La prima edizione ha avuto luogo nel 2012, ed ogni anno continua a crescere e prendere dimensioni internazionali. Quest'anno 51 saranno i partecipanti, tra cui per la prima volta , e su richiesta degli organizzatori, la mia modesta ed umile persona (...), proponendo il materiale bibliografico, e posters che ho pubblicato ad oggi. In anteprima (forse, dato che ci sono ritardi) anche il nuovo libro si trilobiti (ed a prezzo di lancio solo ed esclusivamente per la fiera). Grazie a Gianpaolo potrò anche proporre alcuni dei suoi fantastici modelli. Il costo per un tavolo di 160cm x 80cm è di 20€... un costo minimo per una fiera di questa portata! Ed entrata gratuita (pure). Foto e considerazioni personali seguiranno la prossima settimana... a presto
PALEOTIME 2019 content media
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EBo
May 09, 2019
In Pubblicazioni e ricerche
A BURGESS SHALE PRIMER - HISTORY, GEOLOGY, AND RESEARCH HIGHLIGHTS Interessante testo di Dave Rudkin illustrante il famoso livello fossilifero che ha dato alla luce le meravigliose faune di #Burgess Shale, Canada; l'articolo fa parte del Field Trip Companion Volume edito nel 2009 in occasione del centenario della scoperta di questo sito da parte di C.D. Walcott (nel 1909, ovviamente). Per chi ha accesso alla piattaforma Academia lo puo' trovare di seguito, altrimenti contattatemi per avere la copia: https://www.academia.edu/1471115/The_Mount_Stephen_Trilobite_Beds?source=swp_share
The Mount Stephen Trilobite Beds content media
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EBo
May 09, 2019
In Pubblicazioni e ricerche
Articolo pubblicato un paio di anni fa su una nuova specie di "aglaspid-like" rinvenuto nel celebre lagerstätte del Cambriano, Serie 2, Stage 4 di Emu Bay (sud Australia). Non possiede le caratteristiche tipiche degli #Aglaspidi, ne dei #Cheloniellida. Gli autori lo inseriscono all'interno ei Vicissicaudata, clade che raggruppa gli Aglaspidida, Cheloniellida e un gruppo definito come Xenopoda; In quest'ultimo gruppo, cui sono inseriti Sidneya ed Emeraldella, viene introdotto questo nuovo euartropode, #Eozetetes gemmelli. Abstract: A new euarthropod from the Emu Bay Shale (Cambrian Series 2, Stage 4) on Kangaroo Island, South Australia, is a rare component of this Konservat-Lagerstätte. The two known specimens of Eozetetes gemmelli gen. et sp. nov., in combination, depict a non-biomineralized euarthropod with a relatively short cephalic shield lacking dorsal eyes and bearing a flagelliform antenna, 18 trunk segments with broad tergopleurae and paired axial nodes/carinae, and an elongate, styliform tailspine. The new species compares most closely with taxa in the putative clade Vicissicaudata, which groups Aglaspidida, Cheloniellida and Xenopoda. A ring-like terminal tergite in E. gemmelli corresponds to the caudal tergite in cheloniellids and xenopodans. Incorporating Eozetetes into recent character sets for Cambrian euarthropods supports close affinities to either Emeraldella or to aglaspidids, but several plesiomorphic character states are inconsistent with membership in Aglaspidida sensu stricto. Eozetetes is among the earliest of various Cambrian taxa informally referred to as ‘aglaspidid-like euarthropods’. Link verso pubblicazione: https://doi.org/10.1017/S0016756815001053 Una discussione su cosa sono gli aglaspidi la potete ritrovare qui: https://www.trilobiti.com/forum/paleozoic-area/gli-aglaspidi
A new aglaspidid-like euarthropod from the lower Cambrian Emu Bay Shale of South Australia content media
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EBo
Apr 30, 2019
In Pubblicazioni e ricerche
Un articolo apparso l'anno scorso, edito da Rudy Lerosey-Aubril e Stephen Pates che descrive un nuovo radiodonte, Pahvantia hastata, della Wheeler Formation. Un altro tassello sulla grande variabilità negli artropodi nectonici che occupavano la parte superiore della piramide alimentare dei mari del Cambriano. Dell'articolo inoltre suggerisco di leggere la "Discussion" finale, che illustra in maniera molto interessante la relazione tra forme planctoniche, predatrici e filter-feeder in questo gruppo di artropodi estremamente interessante e differenziato. Abstract: The rapid diversification of metazoans and their organisation in modern-style marine ecosystems during the Cambrian profoundly transformed the biosphere. What initially sparked this Cambrian explosion remains passionately debated, but the establishment of a coupling between pelagic and benthic realms, a key characteristic of modern-day oceans, might represent a primary ecological cause. By allowing the transfer of biomass and energy from the euphotic zone—the locus of primary production—to the sea floor, this biological pump would have boosted diversification within the emerging metazoan-dominated benthic communities. However, little is known about Cambrian pelagic organisms and their trophic interactions. Here we describe a filter-feeding Cambrian radiodont exhibiting morphological characters that likely enabled the capture of microplankton-sized particles, including large phytoplankton. This description of a large free-swimming suspension-feeder potentially engaged in primary consumption suggests a more direct involvement of nekton in the establishment of an oceanic pelagic-benthic coupling in the Cambrian. Articolo in libero accesso qui: https://www.nature.com/articles/s41467-018-06229-7.pdf
New suspension-feeding radiodont suggests evolution of microplanktivory in Cambrian macronekton content media
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EBo

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